Venerdì 6 Dicembre 2024

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La scuola che tende a rieducare anziché insegnare la vera formazione umana. Elisabetta Frezza spiega perché la BuonaScuola è in realtà una MalaScuola

di Stefano Fontana Questa intervista è stata pubblicata su Vita Nuova, settimanale della diocesi di Trieste. È appena uscito il libro “MalaScuola”, con un lungo sottotitolo: “gender, affettività, emozioni: il sistema educativo per abolire la ragione e manipolare i nostri figli” (Casa editrice Leonardo da Vinci, Roma 2017). Abbiamo intervistato l’autrice, padovana, avvocato e giurista, moglie e madre di sei figli. (per leggere la presentazione e l’introduzione del libro MalaScuola, clicca qui). Il titolo del suo libro è inquietante: “MalaScuola”. E’ un giudizio generalizzato sulla scuola italiana o è limitato ad alcune scuole? Il titolo evoca, a contrario, quello della legge 107 detta «la buona scuola», che autocertifica come “buono” un modello di scuola in realtà devastante. Tutte le scuole che ricadono nell’orbita di applicazione della nuova normativa, sia pubbliche sia paritarie, subiranno gli effetti di una manovra prepotente, caparbiamente voluta e, pour cause, fraudolentemente confezionata e poderosamente finanziata a dispetto della crisi. Vero è che la corruzione del sistema scolastico precede di gran lunga l’ultima riforma perché fa parte di un programma risalente, che trascende il colore dei governi avvicendatisi ultimi lustri e risponde a un ordine superiore, di matrice sovranazionale. Ci viene ora servito il frutto avariato di una omogeneizzazione trasversale per cui tutti ormai, a destra come a sinistra, attingono agli stessi schemi mentali e verbali: il mono-pensiero sorregge tutta un’imponente impalcatura pedagogica che può contare sull’apporto di politicanti di apparato distribuiti tra le varie poltrone strategiche, delle schiere di “operatori culturali” addestrati ad applicare nelle scuole il nuovo abbecedario di ordinanza (e muniti per questo della patente di “esperti”), dei cultori della materia LGBT incardinati nei ministeri-chiave. Può contare anche – purtroppo – sulla connivenza di molta parte della chiesa e, infine, sul torpore della gente, che assiste al collasso generale senza reagire, forse perché incapace di stimare tanto la magnitudine dell’attacco quanto la fisionomia dell’aggressore. Ma “la buona scuola” ha impresso una svolta decisiva a questo processo, imboccando una deriva autenticamente totalitaria. Il salto di qualità è dato dall’imposizione ufficiale, per legge, di tutto un complesso di pseudo-valori – scimmiottatura truffaldina dei valori veri su cui è fondata, cresciuta e fiorita la nostra civiltà occidentale – per plasmare le giovani generazioni al credere e al vivere contro natura e contro verità. Perché secondo lei oggi la scuola è una “malascuola”? Perché non insegna più ciò che dovrebbe. Anziché trasmettere conoscenze oggettive e offrire gli strumenti culturali necessari a una vera formazione umana, punta a ri-educare le nuove generazioni: a mezzo Pubblica Istruzione si vuole imporre a tutti la nuova morale di Stato, rapinando alla famiglia il suo imprescindibile primato educativo. La guerra moderna ai valori oggettivi viene sferrata attraverso l’educazione perché, per questa via, la conquista finale dell’uomo sarà lo stravolgimento della sua stessa essenza, l’abolizione dello statuto dell’umano: solo i valori oggettivi possono infatti orientare l’esistenza, mentre l’istinto, il sentimento, l’emozione non offrono alcun appiglio alla volontà e servono anzi a giustificare le atrocità peggiori. Si può dire addirittura che la scuola italiana oggi non educa più, anzi che diseduca? Ahimè è così. Chiaramente si tratta di un giudizio che riguarda la scuola, non i singoli insegnanti, che sono loro stessi (quelli buoni) vittime di un sistema dissennato. Se sopravvive ancora qualche oasi, ciò dipende dalla preparazione e dal buon senso di alcuni insegnanti, capaci di fare barriera, magari per istinto, alle follie dei nuovi programmi che viaggiano in groppa a un lessico suadente, beota e fasullo. Il veicolo principe del veleno ideologico sono infatti le parole, cioè gli involucri attraenti in cui le idee eversive vengono incartate e poi diffuse nel gergo corrente così che, una volta entrate nel lessico famigliare, tutti ci facciamo l’orecchio fino a restare contagiati, senza accorgerci, da un pensiero distorto. Il mondo della scuola è intriso ormai, da tempo, di queste formule capziose, penetrate nei POF, nei PTOF, nelle circolari, nei documenti di valutazione. Nel suo mirino c’è soprattutto l’ideologia del gender. Di questo problema hanno scritto anche molti altri, dalla Peeters a Padre Carbone per fare degli esempi. Cosa ha di specifico la sua analisi rispetto alle loro? Il gender è solo uno degli aspetti, forse il più vistoso – anche perché il termine è nuovo, è brutto e genera istintiva diffidenza – di un un piano egemonico stringente, la cui tappa finale e decisiva è, appunto, l’invasione di campo dell’educazione, perché solo così ci si può accaparrare il futuro, senza residui. Nel libro ho cercato di inquadrare la c.d. educazione di genere – e la c.d. educazione sessuale e affettiva che le fa da battistrada – nel contesto storico e normativo che l’ha alimentata. Soprattutto, ho cercato di smontare le formule che ruotano attorno questo fenomeno e lo nobilitano agli occhi del quivis de populo: tutt’un repertorio pseudo-concettuale che serve a facilitare la penetrazione dell’ideologia. Ma non solo. Ho allargato la visuale ad altri aspetti, meno appariscenti ma non meno insidiosi, della degenerazione “educativa” di cui i nostri figli sono vittime involontarie, ho ripercorso la filiera normativa attraverso cui si è imposta la nuova paideia, ho dato conto dell’apporto determinante della neochiesa all’affermarsi del sistema ideologico voluto dai poteri forti: rimodellando la morale cattolica in ossequio agli standard contemporanei – complice, anche qui, l’uso promiscuo del lessico performativo – la chiesa ha fatto, a quel sistema, da volano universale. Lei è giurista e mamma, questo libro l’ha scritto come giurista o come mamma? Sicuramente in primis come mamma. I resoconti quotidiani, tramite i miei figli, di ciò che accade nelle scuole di vario ordine e grado, mi hanno indotto a tentare un’analisi delle cause e degli effetti del tracollo educativo. La formazione giuridica mi ha poi aiutata a risalire alle fonti, non solo normative, di un fenomeno complesso e proteiforme, davvero allarmante qualora se ne colga la portata complessiva. Spero di aiutare qualcuno a capire cosa sta accadendo, e di fornire al lettore alcuni strumenti concettuali per argomentare il dissenso. Soprattutto, spero di convincere della necessità e dell’urgenza di difendere i nostri figli da un attacco senza precedenti. Qual è il progetto che sta dietro a questa volontà di ri-educare i nostri giovani? Riplasmare la natura umana? Diffondere forme di perversione? Avere un’umanità più docile al potere…? Tutto quanto insieme. È in azione una poderosa macchina da guerra che ha l’obiettivo preciso di conquistare con ogni mezzo una società sfibrata e senza più difese perché straniata dall’azione della propaganda (l’informazione lavora giorno e notte ed è uno strumento formidabile per convincere i destinatari che la neve è nera, che due più due fa cinque, che Lia ha due papà); vogliono annichilire la sua fertilità, aspirare la sua anima. Proprio per questo sono in produzione seriale generazioni imbelli e invertebrate, senza radici, senza identità nè punti di riferimento, incapaci di trovare in se stesse il vigore necessario per reagire all’annientamento programmato. Si punta a deprimere sul nascere le risorse orgogliose della virilità, così come la forza costruttiva del ruolo femminile nella famiglia; a snaturare l’uomo e la donna, annacquare la loro complementarietà naturale nella indistinzione indotta. E tutto questo serve a sua volta all’annientamento di una storia e di una civiltà che fu cristiana, del suo patrimonio inestimabile di cultura e tradizioni, della sua forza vitale; serve al dissolvimento delle identità nazionali nell’europeismo degli ideali farlocchi. Alla fine, il depauperamento etico ottenuto con la diffusione a mezzo scuola di ogni perversione sessuale – e della falsa morale, liquida e buonista, a mezzo catechismo – è interconnesso sia allo snaturamento etnico perseguito da politiche scriteriate di (dis)integrazione forzata, sia al sincretismo religioso propalato sotto la veste attraente dell’ecumenismo, dove l’amore universale funziona come sempre da anestetico collettivo. Come “uscire” dalla situazione? Le scuole parentali, ossia gestite direttamente dalle famiglie, vengono osteggiate e in molti casi impedite … L’enorme disparità delle forze in campo può indurre allo scoraggiamento, ma non esime certo chi ha a cuore la sorte dei propri figli dal porre in atto ogni genere di difesa contro i poteri criminali che mirano ad impossessarsi fisicamente e moralmente di loro, monopolizzando il sistema educativo. Dalla nostra resta ancora, fino a nuovo tentativo di manomissione, il baluardo della Costituzione che, dopo essersi fatta garante all’art. 29 dei “diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, attribuisce ai genitori il dovere e il diritto di “mantenere, istruire ed educare” i propri figli (art. 30). Principi prepolitici e pregiuridici che il costituente, come qualsiasi legislatore, deve soltanto riconoscere. Assicura poi anche, sia a enti sia a privati, il “diritto di istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato” (art. 33). Le scuole c.d. parentali sono dunque una risorsa garantita e disciplinata dalla legge – in modo peraltro burocraticamente snello – e protetta ; una risorsa che si rivelerà sempre più preziosa per sottrarre alla insania istituzionalizzata soprattutto i più piccini. E che va sfruttata. I nostri figli vengono educati non come vogliamo noi ma come vuole il potere; con le nostre tasse vengono finanziati aborto, eutanasia e educazione gender, si approvano leggi che non prevedono l’obiezione di coscienza … siamo ormai in una “dittatura democratica”? È chiaramente tutto collegato, e fa parte dello stesso disegno totalitario cui abbiamo sopra accennato. Aborto, fabbricazione degli esseri umani in laboratorio, omosessualismo e gender, eutanasia, e i loro esiti concatenati (sempre più vertiginosi perché potenziati da una carica tecnologica ormai completamente fuori controllo), compongono un monolitico blocco di necrocultura che, in virtù del mito dell’autodeterminazione, può cementarsi senza resistenze nelle menti e nei cuori ammaestrati a pensare e a sentire contro l’uomo e la sua natura consegnando generazioni intere, compiaciute e disinibite, all’autodistruzione fisica e morale. La premessa è sempre la stessa, dalla tentazione del serpente antico: è la protervia dell’uomo che si fa dio a se stesso, arbitro del bene e del male, misura del proprio comportamento morale, padrone assoluto della vita e della morte. L’effetto, va da sè, è la prevaricazione dell’uomo sull’uomo, dell’uomo più forte sul suo simile più debole e privo di difese.