Lunedì 13 Maggio 2024

22:46:22

Lo Spirito Santo, anima della Cristianità

Collegare due temi come lo Spirito Santo e la politica può suonare strano alle orecchie del mondo cattolico odierno. Esso infatti è stato abituato a un malinteso “primato dello spirituale”, ossia a pensare che l’azione temporale del divino Consolatore vada relegata nel campo individuale e privato, escludendola dalla vita sociale e politica.

  Spirito Santo e carità sociale Secondo questa mentalità, la separazione tra soprannaturale e politica garantirebbe la “purezza” e l’efficacia sia dell’azione divina che delle intenzioni umane. Non s’insiste forse, fino alla nausea, nella contrapposizione tra Spirito e Legge, tra libertà dello Spirito e costrizione delle istituzioni, tra eguaglianza nello Spirito e disuguaglianze sociali, tra fratellanza nello Spirito e inimicizie politiche? Non vediamo forse gli odierni sperimentatori dello Spirito, ossia certi pretesi “carismatici”, disdegnare l’impegno nella politica. E nelle istituzioni? Eppure, il legame tra lo Spirito Santo e la politica c’è, ed è ben preciso. Se lo Spirito Santo è il Summum Bonum, egli è archetipo, fondamento e fonte di ogni bene creato, non solo di quelli individuali ma ancor più del bene comune sociale, ossia del bene che è oggetto della politica. Poiché lo Spirito Santo opera per realizzare la gloria divina, Egli non può accontentarsi dell’omaggio resogli dagli individui, ma deve anche inspirare quello resogli dalla società: parliamo ovviamente di quelle società che, compiendo la loro missione, sono conformi al progetto divino. Se quindi lo Spirito Santo non può disinteressarsi della vita sociale e politica, tantomeno questa può disinteressarsi di Quello. Lo Spirito divino è Carità increata e trascendente eterna, inspiratrice di ogni retto amore creato e immanente. Ma la più alta forma della carità terrena non è quella individuale né quella familiare, bensì quella sociale, come hanno più volte ricordato i Papi (Benedetto XVI, Caritas in veritate, 1-7). La carità sociale è quella virtù che c’inclina ad amare la società, ossia a perseguire il bene comune (naturale e soprannaturale) della comunità in cui viviamo. Del resto, la vita sociale si basa su quella forma di carità che è l’amicizia e la carità sociale si esprime appunto nell’amicizia tra gli associati, che richiede fra loro la tanto fraintesa “solidarietà”. Come potrebbe esistere questa amicalis sodalitas senza una qualche influenza divina che vinca le forze e le tendenze corruttrici e disgregatrici? Spiega padre Royo Marìn: «Le società non solo realizzano in maniera collettiva e temporale le perfezioni della natura umana – conoscenza e amore – meglio dell’individuo, ma anche sono capaci, collettivamente e temporalmente, di conoscenza e di amore soprannaturali. Perciò esse sono degne del nostro amore di carità, e come tali esse vanno amate per Dio. Esse meritano anche che le amiamo più di noi stessi – per quanto riguarda la nostra vita temporale – in quando dobbiamo stimare il bene comune più del nostro bene particolare. Esse meritano anche che le amiamo come mezzi in un certo modo necessari per glorificare Dio più pienamente nell’eternità»; quindi dobbiamo «servire queste società in modo disinteressato, ossia a motivo della gloria divina ch’esse possono come tali procurare in noi e negli altri» (Teologìa de la caridad, § 438). Questo servizio deve arrivare al punto di preferire la sopravvivenza della società alla nostra stessa sopravvivenza fisica: «nessuno ha maggior amore di colui che dà la propria vita per i suoi amici», dice il Redentore (Gv., 15,13).   Ruolo formativo della società Se è vero che la società è composta fisicamente da individui, è anche vero che i comportamenti individuali diventano costumi, ambienti, tradizioni e istituzioni, per cui, in una seconda fase, sono queste realtà sociali a formare gli individui futuri. Se l’azione individuale realizza la “perfezione primaria” e sostanziale dell’uomo, l’azione sociale ne realizza quella “perfezione secondaria” che, sostiene, perpetua e compie quella primaria, pur essendole accidentale e aggiuntiva[1]. Proprio in questo consiste lo scopo della civiltà, «che è la perfezione della natura umana socialmente posseduta» (P. Donat S.J., Ethica generalis et specialis, Innsbruck 1941, II, p. 52); «la civiltà si riferisce alla perfectio secunda, propriamente umana, acquisita o ricevuta dall’uomo e dalla società nell’esercizio delle loro responsabilità» (V. Rodrìguez O.P., Temas-clave de humanismo cristiano, Madrid 1984, p. 245). Costumi, ambienti, tradizioni e istituzioni civili plasmano nell’uomo una seconda natura che può rafforzare o indebolire la prima. Esempio capitale di questa seconda natura umana plasmata dalla società sono le “abitudini” (habitus) intese come tendenze, inclinazioni stabili; esse si formano per l’azione non solo degli individui, ma anche e soprattutto dei fattori sociali come ambienti, costumi, tradizioni, leggi, istituzioni. Ciò è determinante nell’assicurare la conservazione e il progresso non solo culturali e civili, ma anche morali e religiosi. Infatti «gli atti di virtù, che sono passeggeri, non si perdono né scompaiono, ma rimangono nel subconscio, nell’abitudine che hanno generato. Così, ogni umana attività, ogni energia psicologica e morale dell’uomo, vengono condensati nelle abitudini, (...) che sono come un tesoro dell’intera attività umana» (S. Ramìrez O.P., De habitibus in communi, Madrid 1973, I, p. 6). Del resto, «l’uomo nasce imperfetto e può e deve perfezionarsi acquisendo abitudini personali e sociali: mediante essi l’uomo ottiene attualizzazione e uniformità delle sue capacità operative, prontezza e facilità nel ragionare, scegliere ed agire, piacere nel fare ciò che è diventato connaturale grazie all’abitudine o seconda natura» (Rodrìguez, cit., p. 248).   Le società che formano la Cristianità Quali sono queste società che possono essere animate dalla carità sociale per realizzare la gloria di Dio e la salvezza delle anime? Sono tutte le forme di società che uniscono gli uomini secondo la volontà e il progetto di Dio, dal quale, come dice san Paolo, «procede ogni paternità, come in Cielo, così anche sulla terra»; ossia sono le società dette perfette in quanto complete e autosufficienti, come lo Stato, ma anche quelle imperfette in quanto parziali e dipendenti, come la famiglia, il clan, la comunità locale, la corporazione professionale, l’associazione assistenziale, l’associazione culturale o di apostolato; sono insomma tutte quelle sane realtà associative che sono intermedie tra Dio e l’individuo e che conducono questo a Quello, in quanto incarnano forme di autorità capaci di formare e accrescere la persona. Tutte queste società, quando professano la Fede cristiana, costituiscono il tessuto di quella vasta società civile che si chiama Cristianità. Essa è il complesso di ambienti, associazioni e istituzioni che hanno il compito d’“incarnare” i princìpi del Vangelo, ossia di trasformarli in vita sociale e di difenderne le radici e basi terrene. La Cristianità è nata per ispirazione dello Spirito Santo ed è stata edificata nei secoli dall’azione della Chiesa, dal sacrificio degli apostoli, dal sangue dei màrtiri, dall’esempio dei confessori, dall’insegnamento dei dottori, dall’austerità dei penitenti, dalla castità delle vergini. «La Cristianità è il frutto dell’apostolato della Chiesa, che salva e santifica tutte le attività terrene dell’uomo illuminandole e orientandole alla luce della fede. (…) Non c’è Cristianità se non nella misura in cui (i poteri civili) governano la vita economica e politica in funzione della subordinazione della vita terrena a quella eterna e alla luce degli insegnamenti della fede, dunque agendo, in questa missione temporale, come ministri di Cristo, al quale tutto l’ordine temporale deve appartenere» (J. Daujat, La face interne de l’histoire, Paris 1996, pp. 160-161). La Cristianità è insomma il complesso delle società e delle istituzioni che preparano, promuovono e difendono la penetrazione del Vangelo in ogni fibra della vita civile, anche usando i tre classici poteri dell’autorità politica: il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario. Nel XVII secolo, il grande teologo e sociologo gesuita Francisco Suàrez chiamava la Cristianità «il corpo mistico politico» della Chiesa; intendeva dire che la Chiesa stessa, per radicarsi ed espandersi nel tempo e nello spazio, ha bisogno d’“incarnarsi” in un ambiente sociale che le prepari condizioni favorevoli, la promuova e la difenda nella vita civile. Sebbene l’espressione “corpo mistico politico” non abbia avuto fortuna a causa della progressiva separazione della politica dalla Religione, tuttavia essa esprime un’esigenza che è evangelica e che viene insegnata dalla dottrina sociale della Chiesa. Ad esempio, secondo Papa Pio XII, «dalla forma impressa alla società, consona o no alle leggi divine, dipende e s’insinua anche il bene o il male nelle anime» (discorso del 1 giugno 1941). Ovviamente «è ben più facile vivere da cristiani, quando la mentalità, i costumi, la cultura sono cristiani» (Daujat, cit., p. 162). Usando una nota parabola evangelica, possiamo dire che il seme divino, se cade su un terreno accogliente e amico, di solito si sviluppa e fruttifica; se invece cade su un terreno arido od ostile, di solito muore. Pertanto, le autorità civili hanno in concreto il dovere di favorire quelle virtù sociali che facilitano la salvezza eterna e di reprimere quei vizi sociali che la ostacolano. Seguendo l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino, il filosofo Marcel De Corte ci ricorda l’importanza del ruolo dell’autorità politica nella formazione delle virtù sociali: «Le abitudini di giustizia, di forza e di temperanza si ottengono innanzitutto sotto l’influenza dell’ambiente sociale e dell’esempio diffuso dalle élites. (…) La maggior parte degli uomini obbediscono all’impulso prudenziale diffuso, nell’ambiente sociale in cui vivono, dalle élites, le quali fungono da tutori della debolezza della loro capacità valutativa. (…) Le virtù morali sono il frutto dell’educazione ricevuta in seno alle diverse società cui apparteniamo» (M. De Corte, De la prudence, Bouère 1974, pp. 21-22 e 31).   Rivoluzione e secolarizzazione Fin qui abbiamo parlato di una dottrina effettivamente, seppur molto imperfettamente, realizzatasi lungo la storia cristiana. Ma oggi, chi parla più di virtù e vizi sociali? Chi parla più degli obblighi dello Stato verso la Chiesa Cattolica? Chi rievoca quel bene comune soprannaturale che è la Cristianità? Chi parla più di questi temi, pur così strettamente legati alle verità rivelate e particolarmente alla Regalità di Cristo? La secolarizzazione della cultura e della mentalità, che negli ultimi tempi ha gravemente contagiato anche il mondo cattolico, ha separato il campo soprannaturale da quello naturale, soprattutto quello religioso da quello politico, aprendo un fossato tra la fede e la vita civile. Ci si lamenta spesso della separazione tra fede e vita, ma poi ci s’illude che la società umana possa sopravvivere disinteressandosi dell’unico vero Dio, ripudiando l’unica vera Religione e separandosi dall’unica vera Chiesa. Ci si lamenta della secolarizzazione della famiglia e dell’economia, ma poi si accetta o addirittura si elogia la secolarizzazione della politica, del diritto e dello Stato, senza rendersi conto che è proprio questa a favorire quella. Forse che la prima Tavola dei Comandamenti, concernenti i doveri verso Dio, riguarda solo l’individuo e non anche la società? Forse che questa divina Tavola è stata sostituita da quella rivoluzionaria dei “Diritti dell’Uomo e del Cittadino”, come è stato raffigurato nella parrocchia cattolica della città svizzera di Martigny? La mentalità cristiano-progressista sostiene pretestuosamente che la fede verrebbe “purificata” separandosi dalla religione, che la religione verrebbe “purificata” separandosi dalla morale, e che la morale verrebbe “purificata” separandosi dalla politica. Ma così la fede finisce col ridursi ad un codice di convinzioni finalizzato ad accontentare le mondane “esigenze spirituali”, senz’alcun legame con la gloria di Dio e la Redenzione dell’uomo; a sua volta, la morale finisce col ridursi ad un codice di comportamento finalizzato ad esaudire le pretese individuali o collettive, senz’alcun legame con la Legge divina e la santificazione umana; a sua volta, la politica finisce col ridursi ad un codice di leggi finalizzato al progresso individuale o collettivo, senz’alcun legame con i diritti di Dio e della Chiesa.   Lo “spirito del mondo” e le sue ribellioni storiche Specialmente negli ultimi tempi, l’azione del demonio si è sempre più sollevata contro la divina Provvidenza. Opponendo allo Spirito Santo quello che il Vangelo chiama “spirito del mondo”, il demonio va influenzando i costumi, le mentalità, le culture e le società per spingere l’uomo a ritorcere i doni divini contro Dio stesso. Lo “spirito del mondo” va dominando la vita umana per mezzo della seduzione operata dalle tre concupiscenze denunciate da san Giovanni: ossia quella della vista, quella della carne e quella della vita (1 Gv. 2,16). Questo spirito non solo inspira idee, sentimenti e azioni contrari alla fede e alla morale, ma anima anche una lotta senza tregua contro la Chiesa e la civiltà cristiana, mediante una cospirazione globale che coinvolge individui e società. Lo fa seducendo gli animi, fomentando passioni disordinate, suscitando vizi sociali, sobillando ambizioni, invidie e odii, manipolando interessi, e soprattutto forgiando costumi, tendenze, mentalità, ideologie, leggi e istituzioni contrarie alle virtù sociali, in modo da contrastare l’azione della Chiesa e corrompere la Cristianità. La teologia della storia insegna che l’azione dello “spirito del mondo”, scimmiottando l’opera della divina Provvidenza, si è svolta in tre fasi epocali, fomentando tre ribellioni ciascuna delle quali si è rivolta principalmente contro una delle Persone della Ss.ma Trinità. Infatti, all’inizio, contro Dio Padre ci fu la ribellione del Peccato Originale, commesso dai nostri progenitori quando pretesero di diventare per natura simili al Creatore; poi, contro Dio Figlio ci fu la ribellione commessa dal sinedrio ebraico quando rifiutò e condannò a morte il Messia; contro Dio Spirito Santo infine ci fu – e tuttora perdura! – la ribellione del “peccato di rivoluzione”, commesso dall’Europa nell’età moderna. Con l’espressione rivoluzione, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira chiamava il pubblico e organizzato rifiuto della missione santificatrice della Chiesa, rifiuto concretizzatosi non in una singola ribellione ma in una progressiva rivolta contro la civiltà cristiana (P. Corrȇa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, Milano 2009, I, 3). Quel peccato che Nostro Signore condanna come «peccato contro lo Spirito Santo, che non verrà perdonato né in questo mondo né nell’altro» (Mt.12, 31-32), a livello sociale si è storicamente manifestato nella Rivoluzione anticristiana occidentale. Dopo la subdola incubazione dell’Umanesimo antropocentrico del XV secolo, questo peccato sociale esplose con la rivoluzione protestante del XVI secolo – non a caso fu fatta contro la Chiesa e lo Spirito divino che l’anima – per poi progredire nelle rivoluzioni liberali e comuniste del XIX e XX secoli. Il loro spirito empio è ben espresso dalla frase del noto letterato socialista André Gide: «Avrò fatto molto, se avrò scacciato Dio dal suo altare per innalzarvi al suo posto l’Uomo» (A. Gide, Diario, settembre 1947); oppure dal noto politico radicale Gaetano Salvemini: «Morirò contento, se avrò strappato molte anime dalle grinfie della Chiesa Cattolica».   Il comunismo come peccato contro lo Spirito Santo Se consideriamo il maggior errore (e orrore) del nostro tempo, ossia il socialismo-comunismo, possiamo capirlo e valutarlo a fondo non solo come “vizio sociale”, secondo la condanna di Pio XI, ma anche e soprattutto come “satanocrazia”, come lo chiamava Berdjaev, ossia come totale e irriducibile opposizione all’azione dello Spirito Santo, e in concreto alla missione sociale della Chiesa e della civiltà cristiana. Diretta filiazione della fraternité proclamata dalla Rivoluzione Francese, la “solidarietà” socialcomunista è un surrogato – caricaturale e pervertito – della carità cristiana, anzi di quella vera fratellanza (e quindi uguaglianza) spirituale che può essere creata solo dello Spirito Santo e operata dalla Grazia. A questa fratellanza cristiana, l’unica che può apparentare spiritualmente gli uomini delle più diverse razze, culture e condizioni sociali, il comunismo oppone e sostituisce un’assurda “fratellanza”, priva di comune paternità, espressa ideologicamente dall’egualitarismo. In questa prospettiva, gli uomini sono tutti fratelli non per parentela spirituale, ossia perché creati dal Padre, redenti dal Figlio e animati dallo Spirito Santo, bensì per evoluzione biologica, ossia perché resi materialmente uguali dal lavoro collettivizzato e dall’annullamento in una società olistica e totalitaria, dedita al culto dell’Uomo o della Natura. La “fratellanza” comunista è appunto l’anti-religione dello “spirito del mondo”, che ha cercato di realizzare una salvezza tutta terrena, di creare una nuova umanità a sua immagine e somiglianza, scimmiottando metodi, norme e istituzioni della Chiesa Cattolica, sostituendo la Redenzione con la Rivoluzione e la carità con la “solidarietà”. Questo spirito mondano è un “amore” che non procede né dal Padre (infatti nega la Creazione) né dal Figlio (infatti nega anche la Redenzione), ma procede unicamente dalla “Storia”, che nella sua naturale evoluzione manifesterebbe una fumosa e arbitraria volontà collettiva di auto-redenzione terrena e temporale. In realtà, questa pseudo-fratellanza umanitaria e ugualitaria è del tutto immaginaria; l’unica uguaglianza effettivamente realizzabile in questo mondo e con metodi mondani è quella che livella tutto non in alto ma in basso, anzi sottoterra, ossia l’uguaglianza dei cimiteri… ed è appunto quella realizzata dal comunismo (e dal nazional-socialismo) lungo l’intero XX secolo. Quest’analisi teologica del comunismo come “satanocrazia” nemica del divino Spirito è la sola che ne penetri la vera essenza e che spieghi come mai, nonostante il suo fallimento storico, esso mantenga tuttora un certo qual fascino sugli uomini, seducendoli con l’utopistica promessa di una felicità terrena ottenibile a buon mercato, ossia non solo senza l’ascesi delle virtù sociali, ma anzi con la prativa dei vizi sociali.   Conclusione Come contrastare questa falsa fratellanza che proviene da una falsa carità? Possiamo farlo solo praticando quella vera fratellanza che nasce dalla vera carità donata dallo Spirito Santo. All’offensiva dello “spirito del mondo”, alla politica rivoluzionaria che cerca di estinguere nella società ogni residuo di civiltà cristiana, l’azione dello Spirito Santo contrappone la forza del proprio “fuoco divoratore” ed anima la riscossa delle virtù soprannaturali. Ma queste virtù debbono estendersi dal campo individuale a quello sociale, a partire da quello familiare. In questi tempi d’individualismo e di “personalismo” ridotto a individualismo socializzato, bisogna insistere su questa dimensione sociale della vita soprannaturale. Come l’uomo non può salvarsi se non mediante l’azione di quella realtà sociale che è la Chiesa, così l’umanità non potrà salvarsi se non mediante la restaurazione di quella realtà politica che è la Cristianità. Il già citato padre Royo Marìn afferma che, nel campo spirituale, la carità sociale si esercita principalmente in queste forme: insegnamento pubblico (specialmente della gioventù), formazione civile (specialmente quella apostolica), correzione dei vizi sociali (specialmente di quelli contro la purezza) e infine «la retta formazione dell’opinione pubblica» (Royo Marìn, cit., 442). Orbene, questi esercizi della carità sociale non sono altro che applicazioni pratiche delle virtù cristiane, specialmente di quelle cardinali, e dei precetti evangelici che impongono di “istruire gli ignoranti”, “consigliare i dubbiosi” e infine – cosa scomoda ma indispensabile – “ammonire i peccatori”. Ma com’è possibile praticare queste virtù e precetti, se non accogliendo e facendo fruttificare quei doni soprannaturali dello Spirito Santo che sono alla radice delle virtù sociali? Come si vede, ritorniamo sempre al divino Spirito e alla sua provvidenziale azione terrena, temporale e sociale. In questa situazione di caos generale, è sempre a Lui che si rivolge il nostro grido e la nostra speranza di riscatto e di riscossa. I pochi resti della un tempo gloriosa Cristianità sembrano patetiche rovine del passato agli occhi distratti di chi considera solo le cose dal livello terreno e temporale. Ma noi cattolici dobbiamo vedere tutto dall’alto e dal punto di vista eterno, e ripetere la considerazione che faceva santa Teresa d’Avila: ella diceva che avrebbe volentieri dato la vita per difendere, non solo la Chiesa in sé, ma anche «la più piccola verità, la più piccola cerimonia, la più piccola tradizione della Santa Chiesa» (Teresa d’Avila, Autobiografia, XXXV, 5). Noi dobbiamo adeguarci a questo spirito, disponendoci a dare il nostro tempo, le nostre forze, la nostra reputazione e, se necessario, anche la nostra vita per difendere la più piccola verità, tradizione, cerimonia, legge, autorità e istituzione cristiana sopravvissuta, anche se appare ormai in rovina, anche se sembra irrecuperabile. Possiamo essere certi che, sulle rovine del mondo occidentale, come sulle misere ossa della stupefacente visione del profeta Ezechiele (Ez. 37, 10-13), Dio non mancherà di alitare nuovamente il suo Spirito vivificatore, facendo risuscitare a nuova vita l’antica Civiltà, creando in questo modo la Cristianità del XXI secolo. E qui l’auspicio può essere espresso solo con la formula della bella preghiera del Salmista, ripresa dalla Liturgia, quando si rivolge a Dio dicendo: «Invia il tuo Spirito, che creerà ogni cosa; allora il volto della terra verrà rinnovato». [1] Qui applico al piano sociologico la terminologia metafisica usata da S. Tommaso d’Aquino, Summa theologica, p. I, q. 73, a. 1. Guido Vignelli