Martedì 8 Ottobre 2024

23:04:09

Laicità

Una delle parole oggi più usate è quella di “laicità”; ormai quasi tutti si professano “laici”, per convinzione o per partito preso o per conformismo, comprese molte autorità cristiane. Alcune lo fanno solo per motivi tattici basati su giudizi di fatto, ad esempio per “non regalare una parola all’avversario”, oppure per non essere emarginate nel dibattito pubblico, oppure per riservare alla Chiesa uno spazio di libertà politica; altre invece lo fanno per motivi ideologici basati su giudizi di valore, ossia per ricuperare, mediante quella parola, anche un concetto ritenuto valido. Tuttavia la parola “laicità” non può essere ammessa acriticamente, ma anzi va vagliata con tutta la diffidenza dovuta alle espressioni ambigue e quindi pericolose.   Tre versioni della “laicità”   Nel suo significato originario, la laicità esprimerebbe semplicemente la condizione del laico, ossia del cristiano che non è stato elevato alla condizione ecclesiastica; la “morale laica” sarebbe quella riguardante i semplici fedeli, senza comportare responsabilità ecclesiastiche; la “civiltà laica” sarebbe quella che promuove i valori cristiani nel campo temporale; la “società laica” sarebbe quella costituita da semplici fedeli per scopi secolari; lo “Stato laico” sarebbe quello che, pur essendo ufficialmente cristiano, non è governato da ecclesiastici ma da semplici fedeli e non si basa sulle leggi del Diritto Canonico ma su quelle del Diritto Civile. Se fosse intesa in questo senso, la “laicità” avrebbe un significato chiaro e inequivocabile e il suo uso non farebbe problema, perché sarebbe compatibile con le esigenze del Cristianesimo. Eppure, è evidente che oggi la parola “laicità” non viene intesa in quest’originario e legittimo significato. Alcuni ritengono che la laicità sia la condizione di chi professa solo le verità e virtù naturali conoscibili dall’intelletto e praticabili dalle forze umane, allo scopo di perseguire solo i fini naturali indicati dalla retta ragione e realizzabili dalla libera volontà, mettendo da parte la dimensione soprannaturale senza negarla né combatterla. Pertanto il “laico” sarebbe colui che prende una posizione non cristiana né anticristiana ma acristiana, seguendo la natura creata ma scartando il piano divino svelato dalla Rivelazione e avviato dalla Redenzione. La “cultura laica” sarebbe quindi quella che si fonda solo sulla filosofia razionale e sull’etica naturale; la “civiltà laica” (con la sua scuola) sarebbe quella che insegna solo i valori umani e terreni; la “società laica” (con il suo Stato) sarebbe quello che si basa solo sul diritto naturale e sulle scienze sociali. Se fosse intesa in questo senso, la “laicità” avrebbe un significato chiaro, ma incompatibile con le esigenze del Cristianesimo, perché peccherebbe di naturalismo. Comunque sia, anche in questo caso, è evidente che oggi la parola “laicità” non viene intesa in questo astratto e pericoloso significato. Altri ritengono che la “laicità” consista non in una dottrina ma semplicemente in un metodo di pensiero e di azione avalutativo e pragmatico, improntato alla neutralità ideologica e alla moderazione pratica. Il “laico” cioè assumerebbe una terza posizione – giusta ed equilibrata per il mero fatto di essere intermedia – tra gli opposti estremismi del laicismo e del fondamentalismo, entrambe posizioni parimenti condannabili in quanto “unilaterali” ed “esagerate”, espressioni di mentalità, ideologie, fazioni, società (e soprattutto Chiese) intransigenti, rigide, chiuse e settarie. Questa posizione infatti presuppone una concezione della cultura e della vita regolata dallo “spirito critico”, dal “metodo del dubbio”, dal “libero pensiero”, dal “diritto all’eresia” e dal “dialogo nella tolleranza”, rifiutando ogni dogma, pregiudizio, privilegio, discriminazione, imposizione e proibizione, e mirando allo smascheramento e alla soppressione di ogni ideologia (specie se religiosa). Il “laico” deve quindi rinunciare alla pretesa di possedere la verità e di essere nel giusto, tanto più alla pretesa d’imporre agli altri una fede, una morale e un diritto oggettivi. Al contrario, egli deve essere “problematico”, “mettersi in discussione”, “aprirsi all’altro”, “accettare il diverso” e “farsi prossimo”, rispettando in tutti non solo la comune natura umana ma anche le loro opinioni, scelte e azioni, per quanto ritenute false, ingiuste e dannose. Analogamente, la morale, la civiltà, la scuola, la società e lo Stato “laici” devono assicurare il “libero esame”, la “libera ricerca”, la “libera autorealizzazione”, la “pari opportunità” e il “libero mercato” delle idee, proibendo ogni ortodossia od ortoprassi (specie se religiose). Inoltre i poteri “laici” devono realizzare la “soggettività sociale”, in modo che l’uomo venga riconosciuto e tutelato in quella sua trascendente “dignità umana” che lo mette al di sopra di ogni verità, legge e autorità e lo pone al riparo da ogni imposizione, proibizione e punizione (specie se religiose). Questo “metodo laico” risolverebbe i moderni conflitti, perché assicurerebbe una pacifica convivenza tra credenti e non credenti capace di promuovere una civiltà basata sull’autenticoumanesimo, al fine di costruire una società “aperta” e rinnovare gli Stati (ma soprattutto le Chiese) in senso “laico”, ossia purificandoli da dogmatismi e fanatismi. Intesa in questo senso, la parola “laicità” ha ormai un significato diffuso, approvato e praticato, ma anch’essa risulta incompatibile con le esigenze del Cristianesimo. Innanzitutto, pur pretendendo di garantire il “pluralismo”, essa esclude in partenza proprio l’unica posizione giusta: ossia quella cristiana, la quale non è intermedia tra i due opposti estremismi del laicismo e del fondamentalismo, ma è semplicemente superiore a questa falsa alternativa. Inoltre, la storia recente ci dimostra che, quando si è tentato di applicare rigorosamente il “metodo laico” alla società politica, o peggio ancora alla Chiesa Cattolica, entrambe hanno subìto una tale crisi d’identità e di unità da perdere in credibilità e da scivolare nella frammentazione e nella conflittualità permanente. Appare insomma evidente che, pur presentandosi come un mero metodo neutrale e avalutativo, in realtà questa “laicità” è forma preparata per ricevere un contenuto, mezzo per realizzare un fine, via per arrivare a una meta. La sua stessa impostazione favorisce una “dialettica ermeneutica”, un gioco interpretativo che fa vincere chi riesce a meglio imporre i presupposti ideologici impliciti e soggiacenti alla sua metodologia. Difatti la storia dimostra che, a lungo andare, tale “laicità” tende a perdere l’astrattezza del metodo e ad assumere la concretezza di un preciso progetto ideologico: quello del laicismo.   “Laicità” laicista   Lo si ammetta o lo si neghi, piaccia o dispiaccia, la concezione ormai dominante della laicità è quella laicista, imposta dalla cultura anticristiana dominante e tuttora propagandata dai mass-media, insegnata nelle scuole e perfino sancita da molte legislazioni, tanto da caratterizzare la cultura, l’etica pubblica e la “religione civile” della società. Questa “laicità” è la qualità delle dottrine, persone e società che professano e praticano la supremazia (e talvolta anche il culto) della natura, della ragione, della coscienza e della libertà; tale qualità le rende aperte, dialoganti, tolleranti, pluralistiche, democratiche e solidali, impegnate a promuovere la causa della civiltà, del progresso e della pace, lottando contro le “superstizioni” (ossia le verità rivelate, insegnate e tramandate) e contro le “tirannie” (ossia le autorità, leggi, istituzioni e usanze tradizionali), proprio come imponeva il vecchio giuramento massonico. Questa “laicità” si basa su un umanesimo secolarizzato, secondo il quale la vita deve svolgersi entro una prospettiva rigorosamente immanente escludendo ogni riferimento al trascendente; in tale contesto, religioni e Chiese possono essere tollerate solo a condizione di porsi al servizio della “modernità” fornendole un mero “supplemento d’anima”. Questa categoria di “laicità” viene applicata soprattutto ai complessi e difficili rapporti tra religione e politica. Essa consiste nell’assicurare la libertà religiosa delle confessioni poste in stato di eguaglianza, in modo da favorire un pluralismo confessionale che realizzi la fraternità universale e pacifica, proprio come sanciva il noto trinomio della Rivoluzione Francese. Di conseguenza, la “laicità” esige la neutralità confessionale del potere politico, la separazione tra Stato e Chiese e laparificazione dei culti davanti alla legge, con divieto di discriminare in senso positivo mediante privilegi o almeno in senso negativo mediante proibizioni. Dunque lo Stato non dev’essere confessionale (tantomeno cristiano cattolico!), anche se per ipotesi tutti i cittadini lo reclamassero; infatti non è la “democrazia” a comportare la “laicità”, ma è proprio tale “laicità” a rendere una società “democratica”; ciò spiega perché molti regimi totalitari, da quello giacobino a quello sovietico, siano stati giustificati come “democratici” proprio in nome della “laicità della politica”.   Incoerenza del cristiano “laicizzante”   Se la posizione del laicista, che abbiamo descritto, è coerentemente monistica, quella del cristiano “laicizzante” è incoerentemente dualistica e svela una mentalità implicitamente manichea. Infatti, consciamente o inconsciamente, egli pretende di conciliare in sé una doppia appartenenza e fedeltà: a Dio e all’Uomo, al Cielo e alla Terra, alla Verità e all’Opinione, al Bene e alla Convenienza, alla Legge e alla Coscienza, in concreto alla Chiesa e alla Rivoluzione. Essendo però diviso tra tra due verità assolute, due sommi beni, due leggi supreme e due obbedienze inconciliabili, egli non può mantenere la sua coscienza unita e coerente e finisce col perdere la sua la identità e integrità spirituale. Ad esempio, trovandosi concretamente a vivere nello “Stato laico”, egli oscilla tra due fedeltà opposte e inconciliabili: quella (privata) alla Legge divina e quella (pubblica) alle leggi e poteri civili che La negano e La combattono; ma egli non potrà reggere a lungo questa doppiezza schizofrenica e alla fine, per ricuperare una qualche identità ed efficacia, tenderà a scegliere la posizione più coerente e più comoda: ossia quella laicista. Insomma, il cristiano “laicizzante” commette l’errore radicale di accettare la premessa fondamentale del laicismo: ossia la laicizzazione, intesa come categoria ideologica che impone di desacralizzare e secolarizzare non solo la società ma anche la Chiesa allo scopo di adeguarle alle esigenze della “modernità”, ossia dell’umanità che pretende di emanciparsi da Dio. Invece di costituire una soluzione intermedia che evita gli opposti estremismi del laicismo e del fondamentalismo, la “laicità” adatta il laicismo alla mentalità e sensibilità cristiane, facendolo inavvertitamente assimilare ai fedeli in modo indolore per evitare traumi, rifiuti e opposizioni. Invece di opporre una diga al laicismo, la “laicità” gli getta un ponte e spinge i cristiani ad attraversarlo trasbordandoli dalla posizione netta, coerente e salda del teocentrismo quella equivoca, incoerente e scivolosa dell’antropocentrismo. Pertanto la “laicità” non si oppone affatto al laicismo, ma anzi lo realizza mediante una propaganda che un linguaggio elusivo, seducente e insidioso, e una strategia che opera a “velocità lenta” e nei tempi lunghi. “Laicità” e laicismo vanno quindi rifiutati entrambi come complici, e i “laicizzanti” vanno bollati come i servi sciocchi dei laicisti. In conclusione, quella di “laicità” è una parola lessicalmente impropria, ideologicamente equivoca e pastoralmente pericolosa: essa infatti è gravemente compromessa dall’essere funzionale a un linguaggio subdolo, manipolatore e fuorviante elaborato da quella strategia rivoluzionaria che favorisce la causa anticristiana. Poiché tutti i tentativi di dare alla “laicità” un significato diverso da quello anticristiano tuttora dominante sono miseramente falliti, bisogna concluderne che quella parola ha un contenuto laicista che le è talmente connaturale da non poterne essere purificata. Pertanto, invece di sprecare tanti sforzi nel vano e pericoloso tentativo di ricuperare la parola “laicità” sottraendola al nemico, i cristiani dovrebbero piuttosto rinunciare a usarla abitualmente per evitare di accreditarla e di darle prestigio. Anzi dovrebbero mettere in guardia da essa, ammonendo che la sua improprietà lessicale favorisce la falsificazione concettuale e quindi il traviamento religioso, morale e politico, a tutto danno della gente semplice e a tutto vantaggio delle mire e delle trame del Nemico.                                                                                 [Guido Vignelli]     Bibliografia essenziale   - Conferenza Episcopale Italiana, Il laicismo, lettera del 25-3-1960 - Mons. Placido Cambiaghi, Il laicismo, Gregoriana, Padova 1960 - Aa. Vv., Vers une nouvelle réligion: la laicité, Action Familiate et Scolaire, Paris 1996 - Yves De Lassus, Connaissance élémentaire de la laïcité, Action Familiate et Scolaire, Paris 2005 - Rémi Fontaine, La laïcité dans tous ses débats, D.P.F., Chiré-en-Montreuil 2006 - Aa. Vv., La piège de la laïcité, Renaissance Catholique, Paris 2005 - Miguel Ayuso, L’ambivalencia de la laicidad y la permanencia del laicismo, su “Verbo”, n. 445-446 (2006), pp. 421 ss. - Bernard Dumont, Del laicismo a la laicidad, su “Verbo”, n. 465-466 (2008), pp. 465 ss. - Aa. Vv., Christianisme et laicité, Institut Universitaire Saint Pie X, Paris 2000 - Claude Polin, Laicité positive et américanisme, su “Catholica”, n. 103 (2009), pp. 69-79 - Emile Poulat, La solution laique et ses problèmes, Paris 1990 Guido Vignelli