La cannabis fa male. Il termine di “droga leggera”, attribuitogli probabilmente perché, a differenza degli altri stupefacenti, anche a dosi elevate non uccide il consumatore, in realtà non le si confà affatto.Gli studi più accreditati come quello pubblicato nell’ottobre 2012 dalla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences” hanno dimostrato che si tratta di una sostanza psicoattiva neurotossica e pertanto pericolosa per la salute mentale e fisica propria e altrui. E tanto maggiori sono i rischi quanto ne è più precoce l’uso in relazione ad un cervello che si trova nella delicata fase di sviluppo celebrale che termina solo dopo i 21 anni. Tecniche di imaging come la risonanza magnetica hanno messo in evidenza nei fumatori cronici giovanili la presenza di danni strutturali che si traducono a livello sintomatologico in una marcata diminuzione del quoziente intellettivo e di una serie di funzioni cognitive come l’attenzione focalizzata, le capacità esecutive, la memoria di lavoro oltre a l’apparato respiratorio e quello immunitario, causa tachicardie e mal di testa. Afferma il Ministero della Salute che “l’assunzione in dosi elevate può comportare l’insorgere di paranoie e manie di persecuzione. Se consumata per lunghi periodi la cannabis può dar luogo a quella che è definita sindrome motivazionale, un disturbo caratterizzato da distrazione, apatia, riduzione delle attività, incapacità di gestire nuovi problemi, compromissione del giudizio e delle abilità comunicative”.
Gli USA motore della legalizzazione
Ma nonostante tutto ciò sia risaputo, ciclicamente la richiesta di depenalizzare o legalizzare o liberalizzare la produzione e il consumo di cannabis fa la sua apparizione nel dibattito politico. Stavolta però la storica battaglia antiproibizionista ispirata all’individualismo libertario vede in prima linea gli Stati Uniti che, ancorché in passato nemici giurati di tutte le droghe, si stanno avviando a grandi passi verso la legalizzazione generalizzata di marijuana, hashish e prodotti derivati. Un processo iniziato con l’autorizzazione dell’uso medico della cannabis, oggi in vigore in ben 21 Stati della federazione, e approdato all’inizio di quest’anno alla legalizzazione dell’uso ricreativo nel Colorado e nello Stato di Washington, mentre già sono in previsione in altri nove Stati 14 referendum che mirano alla legalizzazione a scopo medico, come hanno già fatto quelli di New York e Illinois, o direttamente alla legalizzazione tout-court, con un meccanismo progressivo che mira ad una legislazione omogenea su tutto il territorio nazionale, in un processo simile a quello che ha reso legali i matrimoni gay.
Un atteggiamento ambiguo quello odierno degli USA testimoniato dallo stesso Presidente Obama che in una recente intervista al New Yorker ha giudicato la marijuana meno pericolosa dell’alcol, e che, pur ribadendo che bene non fa, ritiene il suo uso costituisca una cattiva abitudine e un vizio anche se non lo consiglierebbe alle figlie.
Patrick Kennedy figlio di Ted ed ex deputato democratico, gli ha replicato giustamente che la marijuana di oggi, geneticamente modificata, ha poco a che vedere con la cannabis resa famosa dalla cultura hyppie e non è la stessa fumata dal presidente più di trent’anni fa, quand’era studente: la sua componente psicoattiva principale, il THC, oggi è molto maggiore (da qualche anno infatti viene proposta un tipo di cannabis sempre più potente e con effetto fortemente alterante. Di norma nella cannabis si trova dal 5 al 7% di principio attivo, ma oggi ci sono piante appositamente modificate e coltivate con tecniche violente di coltura intensiva che hanno percentuali di THC nella pianta fresca del 20-25% e che arrivano dopo il processo di essiccazione a contenerne fino al 55%.).
Motivazioni ideologiche ed economiche
Di fatto le motivazioni ideologiche si intrecciano a quelle meramente economiche poiché la legalizzazione e la tassazione della cannabis, come pure quella della prostituzione e del gioco d’azzardo (contro il quale i governi europei fingono di combattere), promettono un risparmio di 22,3 miliardi di dollari all’anno di spese per le politiche di repressione (operazioni di polizia, processi, carcere ed altre forme di restrizione) e nuove entrate fiscali, pari a 6,4 miliardi di dollari all’anno, con la tassazione di spinelli e prodotti a base di cannabis allo stresso modo dell’alcol e del tabacco. Una tentazione forte, quella di lucrare sulle droghe leggere, che riguarda da qualche tempo anche l’Italia, uno dei paesi industrializzati più indebitati del mondo.
La combinazione sembra perfetta infatti per un rapido allentamento della guardia rispetto a una sostanza il cui consumo, una volta legalizzato e tassato, consentirebbe una boccata di ossigeno alle casse dello stato.
La follia antiproibizionista
Direzione questa in cui vanno le due proposte di legge che nel nostro parlamento si propongono di depenalizzare la coltivazione ad uso personale, la cessione a terzi di piccoli quantitativi e la detenzione di cannabis.
Ma a quale prezzo e sulla pelle di chi? È certo che il numero dei consumatori, al contrario di quanto alcuni asseriscono, crescerebbe e quindi di conseguenza avremmo più studenti di scarso o nullo rendimento, più incidenti stradali, più depressi, più schizofrenici, più paranoici, più infettati da malattie sessualmente trasmissibili, più alcolizzati, più eroinomani e cocainomani, ovvero in una parola più politossicodipendenti: insomma più gente che fa del male a se stessa e agli altri.
Altro argomento antiproibizionista che fa acqua da tutte le parti è quello che sottolinea la minore pericolosità per la salute dei danni da cannabis rispetto a quelli da tabacco, alcool e droghe “pesanti” come eroina e cocaina. In realtà è un problema mal posto poiché la cannabis nell’uso comune non viene a sostituire queste droghe, piuttosto spessissimo si accompagna ad esse. Chi fuma spinelli in genere fuma anche tabacco, si sbronza e attua altri comportamenti a rischio, per esempio pratica sesso casuale e senza cautele o si mette alla guida di un veicolo pur trovandosi in stato di alterazione sensoriale. Il fatto che l’assunzione di cannabis allenta i freni inibitori propri e altrui è uno dei motivi per cui spesso viene consumata in gruppo.
I guai sulla psiche
Un capitolo scarsamente esplorato ma molto allarmante sugli effetti della cannabis è poi quello che riguarda la sua capacità di aggravare i disturbi psichiatrici: in una società dove il disagio psichico è sempre più diffuso, la pericolosità sociale della cannabis è sotto questo aspetto crescenti e pertanto i soggetti con affezioni psichiatriche gravi quali le psicosi sono da considerare a rischio, perché l’uso di una droga psicogena come la cannabis ha l’effetto di esacerbare i disturbi psicotici (deliri, allucinazioni, sintomi di de-realizzazione e de-personalizzazione) nei soggetti con disordini schizofrenici. E nei casi di vulnerabilità, nei quali ancora la patologia latente non si è espressa apertamente, l’uso di cannabis può scatenare un disturbo fino ad allora sopito o controllato.
In proposito nel 2011 una ricerca svedese, basata su uno studio durato 35 anni su 50000 maschi, pubblicata da Psychological Medicine, rivista scientifica dell’università di Cambridge ha scoperto che i consumatori frequenti di cannabis hanno quattro volte più probabilità di manifestare schizofrenia dei non consumatori e due volte di più altre psicosi.
Dalla Marjuana all’eroina
Infine va sempre ricordato che dal consumo frequente di cannabis si passa facilmente a quello di sostanze più pesanti. I dati mostrano con evidenza che il numero di consumatori di eroina in una popolazione di consumatori di marjuana, cresce con il crescere della frequenza dell’uso di quest’ultima. «Sappiamo benissimo» affermano da parte loro i responsabili della Comunità di San Patrignano «quanto sia pericoloso un atteggiamento permissivista per i ragazzi più indifesi che nella marijuana potrebbero trovare un accesso privilegiato alle altre sostanze. Non a caso ben il 98% dei ragazzi che abbiamo in percorso ha iniziato con il classico spinello, considerato per assurdo "normale"».
“La madre di tutte le motivazioni”
Ed è più che dubbia anche quella che potremmo chiamare “la madre di tutte le motivazioni” per la legalizzazione cioè che la depenalizzazione servirebbe a tagliare l’erba sotto i piedi alla grande criminalità se è vero che lo scorso anno negli Stati Uniti le vendite legali hanno prodotto 1,5 miliardi di dollari, con una proiezione a cinque anni di utili quadruplicati, numeri che lasciano intendere la persistenza di grandi interessi per chi controlla la coltivazione e la distribuzione delle sostanze in questione: sarebbe solo un problema di “riconversione” parziale dell’attività. Nel nostro paese invece si stima (Il mercato delle droghe. Dimensione, protagonisti, politiche, Marsilio 2011) che il mercato illegale della cannabis negli ultimi anni abbia potuto produrre dieci dei 24 miliardi di utili riconducibili all’insieme delle sostanze che generano tossicodipendenze. È probabile che con la liberalizzazione i prezzi scenderebbero e la diffusione salirebbe, ma è difficile lo stesso quantificare quale sarebbe il valore economico del mercato risultante.
Stefano Degli Abbati